Santarossa: Il male, il postmoderno, il patto con il Diavolo
Santarossa: Il male, il postmoderno, il patto con il Diavolo
Intervista allo scrittore a qualche giorno dall’uscita de Il male
In attesa dell’uscita del nuovo romanzo, Massimiliano Santarossa ci spiega la nascita de Il male (Hacca Edizioni), sua sesta fatica che sancisce il passaggio da uno stile neorealista a uno postmoderno. E che ci restituisce un crudo reportage nelle viscere di un inferno terreno, redatto da un protagonista di livello: il Principe delle Tenebre, Lucifero.
a cura di Nicolas Cunial
Massimiliano Santarossa dopo averci raccontato il crudo nordest fatto di periferie spietate, di generazioni perdute e di abissi notturni – Storie dal fondo e Gioventù d’asfalto con Edizioni Biblioteca dell’immagine, Hai mai fatto parte della nostra gioventù? e Cosa succede in città con Baldini Castoldi Dalai – torna il libreria con un romanzo potente e ambizioso. Un viaggio nel ventre di un Occidente malato ed emorragico, con un inaspettato protagonista: Lucifero.
Proseguendo per la strada di Viaggio nella notte, Il male (entrambi per Hacca Edizioni), il suo sesto romanzo – in libreria a partire dal 6 novembre 2013 – narra il viaggio nell’apocalisse compiuto dal Principe delle Tenebre, risalito in superficie per contemplare gli ultimi spasmi deliranti di una società alla deriva.
Una scrittura testimoniale densa e oscura, un reportage nelle viscere di un inferno terreno, redatto da un essere metafisico, che mai interviene e mai si rivela, per contemplare fino all’ultimo il male della terra, le sofferenze della gente, i peccati della nostra società.
Un Lucifero inedito, il quale, incarnandosi negli uomini e accostandosi alla loro anima, è capace di vivere situazioni umane e provare emozioni. Durante il suo soggiorno terreno egli cerca di dialogare con Dio, suo padre, senza mai ottenere risposta. Le sue domande saranno una prova e una testimonianza insieme sullo stato d’abbandono della nostra civiltà.
Dalle atmosfere céliniane del precedente romanzo, lo scrittore friulano abbandona lo stile neorealista per avventurarsi nel postmoderno, con una scrittura onirica, ricca di metafore, dallo stile biblico e apocalitico. Probabilmente il solo in grado di restituirci la misura del baratro e del degrado che si apre davanti agli occhi del Principe delle Tenebre.
Eppure, c’è chi dice che anche il postmodernismo è morto, lasciando spazio al neorealismo o, per altri, all’autentico. Con Il male, lasci da parte la narrazione del contesto per come si presenta e giochi con l’oniricismo della parola. Sei quindi tornato indietro nella strada dell’evoluzione letteraria completando una mutazione cominciata con Viaggio nella notte?
Io penso che lo scrittore è nella sostanza quella persona che sta all’angolo di una stanza, in genere in silenzio, a osservare, ma in verità il suo compito è proprio “rubare”: immagini, colori, azioni altrui, voci, storie. Però, bisogna anche dire che prima di essere scrittori si è ovviamente persone, e le persone nell’arco della vita mutano interessi e con gli interessi mutano la visione di ciò che li circonda.
La concentrazione su determinate cose piuttosto che altre, definisce la nostra visione del mondo, e se sei uno scrittore indica anche la tua visione narrativa. Così è accaduto a me. Da Storie dal fondo a Viaggio nella notte il cambiamento mio è stato enorme, anche se avvenuto, relativamente, in pochi anni.
Nel mio primo libro ero convinto che i protagonisti dovessero rappresentare totalmente le storie stesse, i luoghi, la geografia, l’architettura, i colori; loro diventavano i portavoce assoluti di un ambiente e come tali dovevano essere assolutamente Realisti, anche nella parola usata, quindi nello stile. Con l’andare del tempo, ho notato che questo stava esaurendosi nella mia testa e quindi nella mia scrittura. In quel periodo stavo spostando la mia attenzione su altri piani.
Accade a chi scrive, prima o poi arriva il momento che si è detto e scritto tutto ciò che si conosce. Ecco, quello è il momento di smettere o di cercare strade “altre”. Viaggio nella notte per me è stato un romanzo “doppio” in questo senso, da un lato chiude il mio percorso come scrittore realista, avendo davvero narrato tutto ciò che potevo, e dall’altro apre una nuova strada, più visionaria, più metafisica se vogliamo. I luoghi diventano sfumati, liquidi, le voci si accavallano, la narrazione inizia ad avere a che fare più con lo spirito e la paura di stare al mondo che con l’asfalto e la rabbia del mondo.
Credo che qualcosa di simile al postmoderno viva ancora, abbia oggi più che mai un suo senso, nella narrazione della società. Se dovessi staccarmi da ciò che scrivo, e fare una analisi critica de Il male la più sincera possibile, penso che questo romanzo sia molto postmoderno, per stile, destrutturazione del testo, visioni, uso della parola.
Non si può comunque considerare che tutte queste categorie, correnti, allontanino il lettore medio dalla letteratura? Probabilmente, chi legge Murakami, e sono in molti, non ha la minima idea di quale corrente egli sia fautore [Realismo magico, ndr] e nemmeno gli interessa. Un po’ come in politica, falchi e colombe, renziani o d’alemiani, il punto è fare bene. A che scopo dunque tanta polemica letteraria?
Sicuramente alla maggioranza dei lettori interessa poco o nulla la categoria di appartenenza di un romanzo. Però per narrare una buona storia non è sufficiente avere una buona storia da narrare.
Un romanzo ben scritto comporta anni di lavoro, una maturazione della storia nella testa dello scrittore, varie prove per donare una corretta voce ai protagonisti, varie stesure nelle quali far scorrere al meglio le frasi. Io personalmente impiego anche una mezza giornata nel sistemare una frase. Ogni parola scelta ne esclude molte altre. Scrivo e riscrivo i miei romanzi almeno cinque volte completamente, ma nella testa penso di riscriverli circa una quindicina di volte.
Pertanto se al lettore il romanzo deve comunicare qualcosa, per lo scrittore è fondamentale che vi sia una conoscenza molto profonda della tecnica letteraria, di quali sono gli stili e i filoni, quali i padri dei generi, averli letti tutti e bene. Non ci si può assolutamente affidare al solo “talento”, cosa peraltro difficile da individuare, e comunque saper scrivere è il minimo del minimo richiesto. Posso dire, dopo venti anni di editoria, che la discussione sui generi è oggi più che mai necessaria per scrivere un buon romanzo. E i lettori ringrazieranno, quando ciò avviene.
Di seguito, però, andrebbe fatto un passaggio ulteriore, nei gruppi di lettura, nei corsi di scrittura, nelle università ma anche nelle scuole, cioè un passaggio di chiarificazione: spiegare che ci sono vari piani, varie profondità letterarie, che esiste la narrativa e la letteratura, e che sono diversissime. Esempio: autori come Haruki Murakami da te citato o come Isabel Allende o Gabriel García Márquez, esponenti di spicco del realismo magico, sono autori di solo intrattenimento, certo buoni romanzieri, ma i loro libri hanno lo scopo unico di intrattenere il lettore; mentre altri autori come Don DeLillo, Thomas Pynchon, David Foster Wallace, solo per citarne alcuni definiti postmoderni, indagano la società, la raccontano nel profondo, la destrutturano per mostrarla in ogni aspetto, soprattutto i più critici e invasivi per l’uomo.
Riprendendo Wallace, penso siano particolarmente importanti queste sue parole: “scrivo romanzi che parlano di che effetto fa stare al mondo. Invece di offrire un sollievo dall’effetto che fa stare al mondo”. Ecco, questa è Letteratura. E i lettori attenti la cercano sempre di più.
Quando hai cominciato a scrivere, ti ci sei trovato dentro o hai scelto quale filosofia narrativa abbracciare?
Ho iniziato a scrivere quindici anni fa e a pubblicare i miei primi racconti in riviste molto, molto, molto underground tredici anni fa. All’epoca leggevo tutto, ma proprio tutto ciò che a che fare col Realismo, però contemporaneamente leggevo filosofia, storia, saggistica politica e economica, tutto da autodidatta, essendo stato cacciato dalle scuole superiori per intemperanza a sedici anni e avendo iniziato a lavorare come operaio da subito. I primi racconti brevi nascevano al bar.
Mi sedevo ad ascoltare le storie di paese e prendevo appunti. Poi, quando io e gli amici andavamo a distruggerci nelle notti labirintiche scrivevo pure di quello, ogni particolare. Ero più un inviato speciale nel mondo dello sballo notturno che uno scrittore. Gli inizi furono quindi particolarmente “alternativi”. Col tempo sono venuti i racconti più strutturati e poi i romanzi. È stato un percorso, un’evoluzione, come si diceva prima.
Infine, dopo anni, consapevole di aver narrato tutto ciò che avevo visto direttamente, il mio interesse si è spostato su altri piani, meno legati al Realismo puro. Il bisogno di raccontare la società in modo diverso, a tratti anche onirico, ha preso sempre più spazio in me, fino a diventare oggi l’unico modo che utilizzo.
Quando uno scrittore si trova a dover descrivere ciò che vede, si pensa che lo studio della cosa non sia poi così greve. In realtà Il male, che pur descrive molto ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma utilizzando una caricatura forzata come quella di Lucifero, è senz’altro curato nei dettagli, insomma vi è dello studio dietro.
Ormai è stato narrato tutto ciò che il muoversi dei nostri corpi produce nella società. Ora penso sia venuto il tempo di concentrarci su ciò che la società, il muoversi della società, produce nei nostri corpi, nelle anime per chi ci crede, o nelle terminazioni nervose per chi come me è ateo.
La letteratura deve compiere un gesto coraggioso, raccontare da un piano del tutto diverso, sviscerare le paure e la solitudine che ci opprimono. I mille colori, i mille suoni, le mille voci, i mille messaggi, le mille tensioni della crisi economica, le mille e mille cose che ogni giorno ci bombardano, tutto ciò cosa produce in noi, in me, in te, in tutti? Il male tenta di affrontare questo percorso, una narrazione degli effetti che la società postmoderna produce nelle nostre terminazioni nervose, nelle nostre anime.
Per fare questo avevo bisogno di un protagonista metafisico, interessato a noi ma estraneo a noi: Lucifero. Ovviamente il mio è un’opera letteraria, ma tra le righe, ogni parola, ogni gesto, ogni riferimento alla terra come ai cieli, è assolutamente calibrato e ragionato, e nasce da approfonditi studi teologici. Per scrivere romanzi è fondamentale lo studio continuo, e per fare questo è necessaria una naturale devozione per i libri.
Quanto, di questo nostro dialogo, credi interessi realmente i lettori? Probabilmente i più non hanno voglia di seghe mentali sulla letteratura, e molti inoltre le ritengono addirittura nocive ma sono essenziali per capire cosa gli scrittori del nostro tempo dovrebbero narrare. A questo punto è la solita domanda, è nato prima l’uovo o la gallina? Il libro o la corrente letteraria?
Come si diceva prima, alla maggior parte dei lettori le discussioni tecniche sullo stile non interessano, è normale, è giusto così. Ma ti assicuro che in molti anni di editoria ho conosciuto anche tanti lettori preparatissimi, innamorati dei romanzi, della letteratura, che la difendono quotidianamente, leggendo, comprando e regalando libri, promuovendoli in molti modi.
Questi lettori vogliono sapere, e anche in modo approfondito, delle nostre discussioni tra scrittori, vogliono soprattutto capire quanto impegno un autore ha messo nel proprio romanzo. Pertanto posso permettermi di dire che il primo libro stampato, la Bibbia, ad opera di Gutenberg in persona, ha creato la prima corrente letteraria, secondo me straordinariamente visionaria.
Perché hai deciso Lucifero come testimone muto, ma recettivo per narrare la società di oggi? C’è un qualche legame particolare che ti ha portato a scegliere questo personaggio così negativo e allo stesso modo così affascinante?
Ho scelto Lucifero come protagonista del “viaggio ad infera” sulla terra perché è il figlio primo di dio, il perfettissimo che al principio dei tempi chiede libertà e per questo viene cacciato dai cieli. Ai miei occhi, pur essendo ateo, risulta una figura seducente, sostanzialmente libera. Affascinante e libera in senso appunto metafisico, o se vogliamo irreale. E in quanto irreale, il suo essere spirito permette una libertà di azione e di visione che all’uomo, alla carne, non è consentita.
Lucifero, in sostanza, permette una scrittura e un pensiero narrativo privo di confini, ai miei occhi di scrittore realista è stato un modo di scrivere “nuovo”, inedito. In questa creazione di piani narrativi vi è il capovolgimento totale della sua figura. Siamo sicuri che Lucifero rappresenti il male? O il suo viaggio terrestre dimostrerà il contrario? Da qui si muove la genesi del romanzo, che poi si sviluppa nelle viscere dell’Occidente.
Per i più curiosi, rimandiamo a un paio di inediti tratti da Il male, pubblicati su Satisfiction e Scrittori Precari.