Bologna è in Occidente
Strage di Bologna 2 agosto 1980 di Alberto Bullado. 1975. Ferdinando Camon non poteva sospettare che scrivendo Occidente avrebbe offerto un movente. Cinque anni più tardi, data di oggi, ore 10:25, esplodeva la bomba in Stazione a Bologna. 85 morti e 200 feriti. Nel covo della cellula terroristica veniva ritrovato un manoscritto. Undici pagine in carattere maiuscolo ricopiate esattamente da un capitolo del libro. Pagine scritte a mano che spiegavano a militanti e terroristi perché, in nome di che cosa, con quale diritto era stata compiuta la strage. Pagine che educavano sul quel bene superiore che moralmente parlando avrebbe dovuto scavalcare trecento vite umane. Ecco perché Camon ritiene Occidente il romanzo che, moralmente parlando, gli è costato di più. Non si trattava solo di fantapolitica. Occidente purtroppo andava oltre. Non si limitava a raccontare la storia di una cellula terroristica, del suo giovane mentore e della sua oscura pulsione di morte, ma intendeva ritrarre il viaggio concettuale e psicologico degli stragisti verso la conquista e l’applicazione del diritto di strage.
«Credevo d’interpretarli, e cioè che questo diritto fosse già chiaro dentro di loro. Non supponevo che dentro di loro fosse chiara e definitiva la conclusione, e cioè che le stragi andavano compiute e che, più vaste erano, più erano efficaci, e, più innocente era il materiale che sacrificavano, più erano giuste; ma che l’itinerario conoscitivo ed etico, insomma il ponte che portava a questa conclusione, non era stato ancora costruito»[1].
Occidente è un romanzo che fa paura leggere proprio per questa ragione: costruisce il ponte. Camon intendeva spiegare il diritto di strage, così facilmente assimilabile al concetto di guerra santa da costituirne un tutt’uno, alle vittime, alla gente comune. Non credeva che di spiegazioni ne avessero paradossalmente bisogno gli autori. Ecco perché Bologna è tutta dentro in Occidente. Ma lo era anche la Padova di quegli anni. Una città imbevuta della stessa violenza ideologica, un ordigno pronto ad esplodere e che per innesco aveva l’insopprimibile tensione alimentata dalle ingiustizie sociali, le lotte sindacali, i movimenti studenteschi e la militanza oltranzista. Padova si congiunse all’asse Mestre-Marghera grazie al quale nacquero i primi movimenti rivoluzionari. A cominciare da quel Potere Operaio che poi tra scissioni ed annessioni divenne Autonomia Operaia. Ma nella nostra città operavano anche gruppi nazifascisti e cellule legate ad una nuova idea di estrema destra nazimaoista suprematista, di cui la più nota era il gruppo legato a Franco Freda. Padova, come altri centri degli anni di piombo, era una città che viveva uno stato di guerra fredda, silente ma atroce. Spartita tra zone d’influenza rosse e nere, strade, piazze, locali, tra agguati, pestaggi, scontri tra opposti gruppi politici, covava il mostro ideologico: una delle più gravi stragi terroristiche dell’Italia del dopoguerra. Occidente è un romanzo orribilmente reale come reale era l’intenzione di un gruppo di terroristi di far esplodere una bomba in un asilo: il medesimo piano voluto dai rivoluzionari neofascisti ritratti da Camon. Un attentato sventato nella cronaca reale ma che poi portò alla maturazione di un’altra bomba. Tuttavia il realismo di Occidente va al di là delle implicazioni storiche. Camon raccolse materiale per anni. Seguì da vicino le vicende dei gruppi rivoluzionari. Respirò quello stesso clima nutrendosi della medesima violenza ideologica dei protagonisti. Il romanzo nacque quindi da esperienze dirette, le ricognizioni anonime, le convocazioni segrete, gli appuntamenti nelle aule dell’università dove sfuggenti figuri erano soliti porre domande ai presenti per reindirizzarli, se lo credevano opportuno, in altri luoghi più “sicuri”. E poi la libreria accanto al Liviano, aperta solo di giovedì, di notte, dove era possibile documentarsi e venire in possesso di libri e materiale informativo solamente sottostando a rigidi interrogatori. In questo modo lo scrittore padovano riuscì a fare proprie deduzioni e suggestioni, politicamente e sociologicamente coerenti, persino dal punto di vista psicanalitico, che sul foglio risultarono come le esatte proiezioni ortogonali di un coacervo di dottrine ideologiche pericolosissime. Un condensato talmente perfetto da essere ritenuto esemplificativo da coloro che componevano lo stesso braccio armato del terrorismo nero.
Occidente era quindi talmente reale che divenne tragica conseguenza. Ecco perché il romanzo di Camon non solo è entrato nella storia, ma è la Storia stessa. Un esempio unico nella letteratura contemporanea che ci insegna come un romanzo può essere più reale della realtà stessa e di come la letteratura non è mai del tutto innocente. All’uscita del libro Ferdinando Camon venne ripetutamente minacciato di morte. A casa gli pervennero piccole bare che riportavano il suo nome, più intimidazioni d’altro tipo. Per queste ragioni la sua abitazione venne sorvegliata per un anno dalla
polizia. Quando la RAI decise di trarre un film dal romanzo, Franco Freda, personaggio di spicco nelle cronache del terrorismo nero, citò in tribunale regista e televisione di Stato. La motivazione era semplice: Freda si riconosceva nel protagonista che progetta e compie la strage. Il processo non ebbe mai luogo. Condannato all’ergastolo, Freda perse i diritti civili. Una volta riassolto riuscì comunque ad ottenere un incontro con Camon. Durante il lungo colloquio, a metà tra il confronto e l’intervista, successivamente pubblicato in I miei personaggi mi scrivono (Garzanti 1987), lo scrittore sembra carpire il fondamento del diritto di strage dalle parole dell’ex rivoluzionario. Freda sembrava volesse sottrarsi ripetutamente da qualsiasi giudizio esterno, quasi non si trattasse di una questione in bilico tra innocenza o colpevolezza, ma di coscienza di innocenza e colpevolezza. «È innocente non chi è incapace di peccare, ma chi pecca senza rimorsi». Camon lesse in questa frase una sorta di alibi interiore e, forse, anche di una velata ammissione di colpa: «Ho fatto quello che pensate, ma possiedo un sistema in grado di assolvermi». Ideologie totalitarie e totalizzanti, logiche aggressive, immolazione di vittime innocenti da onorare con qualsiasi mezzo in nome di un fine pervasivo e metastorico. Passata quell’epoca e smorzate certe forze, il concetto di diritto alla strage, o quantomeno l’entroterra ontologico e ideologico che sta alle spalle di tutto, ci appare come un fenomeno di corruzione che ritroviamo anche nel nostro presente. Un fenomeno di portata globale, di origini inedite, che si dà motivazioni aggiornate e che assume nuovi connotati, presenti non solo in culture diverse dalla nostra. Occidente, trentacinque anni dopo l’uscita e trent’anni dalla strage di Bologna, è un romanzo in questo senso profetico persino dal titolo. Un breve passo tratto dal manoscritto terrorista che si rifà ad un capitolo di Occidente (“Organizzazione”).
«Arrecare danni al regime è un errore: il regime te ne chiederà conto. Ma provocarne la disintegrazione, questo è il rimedio. Occorre un’esplosione da cui non escano fantasmi. Ci sono organismi unicellulari che, schiacciati, risorgono, e mutilati si riuniscono: ma in ognuno c’è un organo delicato dov’è la sede della vita: noi dobbiamo colpire quel nucleo come fanno gli antibiotici, noi dobbiamo dare lì al sistema un colpo tale che ogni coscienza si rimetta a noi con tutta docilità, con tutta la gratitudine per qualunque cosa faremo di essa. Occorre che il nostro gesto sia così chiaro, da far nascere in tutta la popolazione inerme e inginocchiata due sole risposte e nessun dubbio: “Sono loro” e “Finalmente”».
[1] Dalla Prefazione di Occidente.